Spalletti, la svolta Nazionale: Macedonia-Italia è l’inizio di una nuova era

SKOPJE (dall’inviato) – Tu chiamale se vuoi…. E le emozioni, quella tempesta che s’è scatenata il 4 maggio, ora sono lì, visibili e pure palpabili in quella sagoma che fissa il vuoto e però riempie di sé, della sua Storia, ogni frammento d’aria, nelle dita che maciullano una biro mentre vorrebbero abbracciare il vento, lasciandosi sfiorare le guance. Da Campione d’Italia a “Fratelli d’Italia” in realtà è stato un attimo, in un anno sabbatico che in effetti è rinchiuso in settantacinque giorni e che rappresenta la sintesi d’una vita “spericolata”, abbellita da un talento (gigantesco) che in due mesi ha esaltato la sua Immensa Bellezza, quel football elevato ad arte per un museo contemporaneo. E adesso che il Calcio ha risistemato i conti con il destino, l’ultima carezza che Luciano Spalletti (il Commissario Tecnico) riserva a Luciano Spalletti (l’allenatore) prima che cominci Macedonia del Nord-Italia è un bagliore di gratitudine che viene dall’anima espresso sorridendo ad un cronista. «L’hai portata la bottiglietta con dentro l’aria di Napoli? Te la pago, eh». La sera in cui uscì dal delirio d’una città eternamente perduta per quella sua genialità così inebriante, il futuro rimase virtualmente recintato nella tenuta di Montaione, nel desiderio di starsene un po’ con se stesso e con la moglie ed i figli, nella quiete da regalarsi per sfuggire ai demoni dello stress: e però ora, mentre intorno a sé c’è l’intera delegazione – da Gravina in giù – che l’ascolta ed un Paese che lo guarda, la tensione non è svanita, anzi, ma in quella maschera che osserva il proprio macro universo con uno sguardo lieve c’è comunque un uomo nuovo, dolcemente accovacciato in un orizzonte romantico che sa sempre ed ancora d’azzurro.

Io sono io

La sua Italia gli apparterrà per intero, pure “fisicamente”, finirà per manipolarla con la stessa feroce tenerezza con cui toglie e risistema il cappuccio alla “Bic”, lascerà che senta la sua presenza dedicandole l’insonnia delle tenebre e i giorni travolgenti, e rimarrà se stesso, incurante del logorio, perché Spalletti non sa mentire. Il tour dell’anima – da Roma a San Pietroburgo e poi da Milano a Napoli – l’ha trascinato nella magia, quasi alla soglia dell’Impossibile, e Skopje pare essere la sua terra dei fuochi, perché Spalletti già arde: è carne che brucia, è un cervello che s’infiamma e va inseguendo nuovi sogni che stavolta vanno ben al di là dei campanili.

Milledicianove

In questo viaggio lunghissimo, affrontato soprattutto con se stesso, il calcio dell’eretico è divenuto religione, e in questa Macedonia-Italia che l’accoglie come l’ultimo Profeta, il “vissuto” – scudetto a Napoli dopo trentatré anni da Diego incluso – resta dietro l’uscio dei pensieri, che sono ammassati alla ricerca di un’altra idea, egualmente seducente, chiaramente totalizzante. Ma questa notte prima dell’ennesimo esame di Luciano Spalletti è esattamente eguale a quelle delle sue mille e diciotto vigilie, verrà attraversata tra gli appunti appesi alle pareti della sua cultura, post it che paiono scarabocchi e invece costituiscono la sintesi di un pensiero largo, a tratti rivoluzionario, un promemoria per non sfuggire, e men che meno alterare, la propria natura con la quale è stata costruita una carriera e pure una figura. Spalletti non saprà attraversare un’esistenza diversa, nonostante i ruoli e le dinamiche inducano a sospettarlo, ma gli “garberà” conservare quella postura alternativa che l’ha sorretto nella buona e nella cattiva sorte, ondeggerà intorno alla panchina della Nazionale disegnando le veroniche di quei ventinove anni da amabile narratore che sente ormai solo la necessità di completare – a modo suo – la propria autobiografia. Luciano s’è desto.


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